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Giovedì, 23 Agosto 2012 14:03

L'inquisizione nella realtà storica

Fu così chiamata l’istituzione fondata per ricercare (in lat. inquirere) ed esaminare coloro che si allontanavano dalla verità di fede e operavano in conseguenza, sul piano teorico o pratico. Nella realtà storica l’Inquisizione fu sempre legata a un tribunale nel quale venivano giudicati coloro che erano stati trovati colpevoli di eresia o di idee e azioni contrarie alla fede. L’esigenza di difendere la purezza e l’integrità della fede, manifestatasi dopo che il cristianesimo era diventato l’unica religione di Stato, pose il problema del modo di comportarsi nei riguardi di coloro che o non avessero accettato il cristianesimo (pagani sia dell’antica religione greco-romana, sia delle popolazioni germaniche) o si fossero allontanati dall’ortodossia (eretici).

Si ebbero allora le divergenti opinioni e di chi affermava il diritto per ciascuno di credere liberamente e di chi, invece, sosteneva l’opportunità di sospingere alla fede anche con la forza: S. Agostino – ed è un esempio interessante del mutamento di punto di vista in una stessa persona per effetto delle circostanze storiche – passò da una posizione assai tollerante al tempo della sua polemica contro i manichei (che concepivano la realtà come una continua lotta fra due principi opposti, come il bene e il male, lo spirito e la materia, ecc.) a una assai intransigente, verso la fine della sua vita, quando, in lotta contro i donatisti (che sostenevano la non validità dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni e proclamavano la propria ostilità nei confronti dell’Impero Romano), enunciò il famoso principio: "Compelle entrare" (costringere a entrare, cioè nella Chiesa), che tanta influenza doveva esercitare nei secoli futuri. A lungo, tuttavia, durante il Medioevo barbarico e i secoli dell’Alto Medioevo, l’atteggiamento della Chiesa, riguardo agli eretici e ai non cattolici, fu di tolleranza, anche quando, con l’inizio del sec. XI si cominciarono a manifestare dei fenomeni ereticali di vistosa importanza. Vi furono allora processi a eretici per conoscerne le idee e condannarle sì da impedire la loro diffusione, ma raramente condussero a sentenze capitali; comunque, non vi furono sistematiche ricerche per colpirli. Coloro che finirono sul rogo furono più vittime del furore popolare, che non del giudizio ecclesiastico.

Non si trattò però ancora di Inquisizione, perché di questa mancò l’aspetto più caratteristico, la ricerca dell’eretico, e si ebbero, di solito, interrogatori e giudizi di individui o gruppi, casualmente emersi all’attenzione degli ecclesiastici o di fedeli. Né possiamo ancora considerare Inquisizione la ricerca episodica di eretici che si ebbe lungo il sec. XII, in relazione al manifestarsi sempre più preoccupante dei vari gruppi eterodossi in Italia o in Francia, come quando S. Bernardo intervenne nel Tolosano contro il monaco Enrico e contro i Catari (setta ereticale che si fondava sul dualismo manicheo tra bene e male e predicava un profondo rinnovamento morale) o quando l’arcivescovo Galdino di Milano predicò, ancora, contro i Catari nella sua città. Però, è vero che proprio in questo secolo si venne lentamente formando l’opinione che bisognasse agire contro gli eretici e che questa azione costituisse uno dei più difficili e responsabili doveri del vescovo: questi dovrà ricercare e punire coloro che turbano e minano l’unità della fede: ma i vescovi operarono in questa direzione episodicamente e con debole impegno, sia per le difficoltà oggettive della ricerca stessa (gli eretici di qualsiasi tipo e credenza tendevano a mimetizzarsi) sia per lo scarso appoggio che riceveva dal clero, spesso insufficiente o fiacco.
L’Inquisizione, e il tribunale che la accompagnò, sorse da questa situazione, dalla preoccupante diffusione delle manifestazioni di eterodossia e soprattutto dalla necessità di identificare e precisare gli eretici perché potessero essere poi colpiti dall’autorità civile; la Chiesa, infatti, era riuscita a ottenerne ripetutamente l’appoggio nel 1183 con Federico Barbarossa, nel 1220 con Federico II, che aveva sanzionato solennemente il bando per l’eretico e infine nel 1224, ancora con Federico II, che decretò la pena di morte per l’eretico ostinato e pertinace, ribadendo in seguito più volte la sua decisione. L’Inquisizione venne resa possibile, inoltre, dalla circostanza decisiva della formazione dei nuovi Ordini mendicanti, specialmente dei predicatori, che operarono in tutta la Chiesa alle dirette dipendenze del pontefice.Tra il 1231 e il 1233 Gregorio IX comunicava ai vescovi, in diversa formulazione ma con chiara unità d’intenti, l’incarico affidato ai Domenicani di svolgere la ricerca degli eretici d’accordo con i vescovi, ma anche in una precisa autonomia; proprio in questi stessi anni compare il termine inquisitor, che emerge la prima volta, come sembra, nel 1231, nello statuto contro gli eretici del senatore di Roma, Annibaldo degli Annibaldi. Ai Domenicani, e specialmente là dove questi dovettero essere sostituiti perché la loro azione troppo dura ed energica aveva suscitato opposizioni, come nell’Italia centrale e settentrionale, subentrarono talvolta i Francescani. Partendo dalla generica esigenza della ricerca degli eretici e della loro esclusione dalla società cristiana, l’Inquisizione venne poi gradatamente precisando i suoi compiti in relazione ai problemi che via via le circostanze imponevano.
Così l’interrogatorio venne aggravato dall’uso della tortura; l’inquisitore, prima solo, venne affiancato da un compagno; le decisioni dei due inquisitori vennero sottoposte al controllo del vescovo o d’un suo delegato, mentre l’andamento del processo inquisitoriale veniva, in ogni suo momento e caso per caso, esaminato da un consiglio di chierici, monaci, frati e giuristi, anche laici, per escludere errori di procedura e arbitri degli inquisitori. Inoltre una serie di norme venne fissata a tutela della verità delle accuse o delle discolpe, per evitare denunce calunniose di eresia, anche se all’inquisito non venne mai riconosciuto nel Medioevo il diritto di essere assistito da un avvocato durante le varie fasi del processo.

Qualora l’accusa fosse stata provata e confermata dalla confessione dell’accusato stesso, questi, se pentito, veniva condannato secondo il grado di colpevolezza o a pene mortificanti, come pellegrinaggi, penitenze pubbliche o croci colorate sugli abiti, se ostinato o ricaduto nell’eresia (ralapso) al rogo. Questa pena, però, non veniva eseguita dall’inquisitore, ma dal potere laico, o braccio secolare; nel linguaggio corrente quindi l’espressione "consegna al braccio secolare fu equivalente alla condanna al rogo". Le norme via via accumulatesi nel tempo, le esperienze acquisite con l’esercizio della Inquisizione, i testi relativi alla conoscenza delle varie eresie vennero raccolte da vari inquisitori per uso proprio e altrui in manuali, fra cui celebre quello del domenicano Bernardo Gui, attivo all’inizio del Trecento nella Francia meridionale.
Con la fine delle grandi eresie popolari, al tempo del papa Giovanni XXII (1316-34), l’Inquisizione ebbe l’ulteriore incarico di perseguire anche maghi e streghe, dopo che questi, per il preteso loro culto diabolico, vennero assimilati agli eretici.
Mentre quasi alla sola caccia stregonica venne restringendosi per circa due secoli il compito dell’Inquisizione, in quasi tutta l’Europa, e particolarmente in Spagna l’Inquisizione venne sempre più legandosi al potere politico che se ne servì per secoli, ma specialmente nel XV, per la lotta contro moriscos e marranos, cioè contro Arabi ed ebrei, che, convertitisi apparentemente al cristianesimo, continuavano in realtà a praticare i riti della fede avita. Né fu meno rigorosa e severa nelle colonie d’America, sì che all’Inquisizione spagnola e alle sue cerimonie fastose e insieme terribili l’Inquisizione deve molto della sua fama di terribilità inesorabile. Nuovo impulso venne all’Inquisizione, durante il sec. XVI, dalla necessità della lotta contro i fautori della Riforma nei Paesi rimasti cattolici: fu allora unitariamente organizzata e posta alle dipendenze d’una speciale congregazione romana che proprio dall’Inquisizione (detta nel linguaggio curiale sanctum officium, e cioè santo dovere) prese il nome di Congregazione del Sant’Uffizio. Vennero allora irrigidite le norme più severe che la regolavano, come la segretezza dell’indagine, l’assenza d’un difensore, l’uso normale della tortura, mentre il desiderio sincero di ottenere la conversione, piuttosto che la morte dell’eretico indusse i giudici a forti coazioni morali, come nei casi ben noti di Giordano Bruno e Galileo Galilei.
Mentre la Congregazione del Sant’Uffizio in Roma rimase attenta a sorvegliare l’integrità della fede e si incaricò pertanto anche dell’INDICE DEI LIBRI PROIBITI come di ogni deviazione dottrinale, l’Inquisizione, in quanto istituzione diocesana venne sempre più perdendo di importanza effettiva, riducendosi a un controllo locale della ortodossia dei fedeli.
Oggetto di attacchi sempre più pesanti man mano che venne affermandosi l’idea della tolleranza, bersaglio prediletto di illuministi e di quanti rivendicavano la libertà di coscienza in epoca liberale, l’Inquisizione è un’istituzione legata a una precisa realtà storico-religiosa: in questa l’esigenza dell’unità della fede, trasformandosi in intolleranza per un malinteso desiderio di difendere il prossimo dal pericolo dell’eresia, ha bloccato il senso della carità fraterna verso chi sbaglia, anche nella fede. In questo senso solo il Concilio Vaticano II con la distinzione tra errante, che è sempre oggetto di carità, ed errore, che va combattuto con la forza della dialettica e della fede, ha tagliato alla radice le basi ideologiche d’ogni Inquisizione; non a caso la Congregazione del Sant’Uffizio ha assunto il nome di Congregazione per la dottrina della fede.

Pubblicato in Streghe in Sicilia
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