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Piazza Armerina

Siti Archeologici

Eremo di Fundrò

Eremo di Fundrò

Il complesso di Fundrò si erge solitario in una valletta circondata da boschi e colline. Il viaggiatore che lo raggiunga vive subito la sensazione di essere fuori dal tempo e dallo spazio in una dimensione, certo non più abituale, di contatto esclusivo con la natura. Il complesso è visibile nella sua interezza, anche se in uno stato di decadenza ed abbandono. Spicca su tutto il panorama la torre campanaria che domina il convento sottostante e  tutta la zona attigua.  
Si giunge sul posto prendendo la strada da Piazza Armerina fino al bivio Bellia (Madonna della Noce); si procede sulla provinciale per Barrafranca e dopo 5 Km circa, svoltando sulla destra, si percorre la strada asfaltata fino in fondo alla vallata e quindi a 300/400 m. circa dall’inizio della salita sulla sinistra l’eremo è già visibile.
La condizione di isolamento attuale è in netto contrasto con le origini di Fundrò, che si collegano all’arrivo dei Normanni in Sicilia nel XI secolo d.C..  Il casale potrebbe essere nato per fusione  di abitati rurali circostanti come Fundrò, Balatella e Acqua dei Conti. Ottenne privilegi e diritti importanti. La popolazione era costituita da coloni Lombardi, da pochi Greci e da altrettanto pochi Arabi. È facile immaginarsi un territorio abbastanza vasto, abitato da numerosa popolazione e frequentato da contadini, soldati, nobili, religiosi, etc.
Il casale di Fundrò ebbe una storia abbastanza complessa. Nel 1161, anno della distruzione di Piazza, era già abitato e anzi accolse molti lombardi di Piazza sfuggiti alla persecuzione. Nel XIII sec. la Sicilia era in mano agli Svevi e dal 1266 l’Isola fu assoggettata agli Angioini. In questo periodo Fundrò era un importante casale regio, ma, con le continue ribellioni dei nobili, esso fu ridotto a feudo di poco conto e nel 1340 addirittura il baronaggio fu concesso in perpetuo sia a Piazza che a Enna, dimodoché il titolo era di “Metà Fundrò”. Questo fatto  creò forti rivalità fino alla distruzione completa del borgo nel 1396 con il trasferimento degli abitanti ad Enna che popolarono un quartiere detto dei “Fundrisi”.

Nel XV secolo la storia di Fundrò si legò all’intervento dei monaci benedettini.  Fu, infatti,  il benedettino Onofrio de Comito, su pressione dei Piazzesi che avevano raccolto anche numerose offerte, a ripristinare il culto nella Chiesa ed assumersi anche il compito di ospitare viandanti e pellegrini. Ad un altro benedettino piazzese, Guglielmo Crescimanno, si deve il restauro della Chiesa, dopo un periodo di abbandono, con la realizzazione del monastero. Esso venne nominato primo priore di Fundrò. Intanto, nel 1466, su autorizzazione del Vescovo di Catania il priorato era stato elevato  ad abbazia e Pietro Genco fu nominato primo abate.      
Qualche anno dopo l’abbazia fu dichiarata di Regia Prelatura, per cui l’abate divenne membro del braccio  ecclesiastico del Regno, occupando il 64° posto.

Il contributo dei Piazzesi in quel lontano periodo fu determinante per la fondazione ed il progresso del cenobio. Nel 1560 un incendio lo rese completamente inagibile, i monaci dovettero rifugiarsi a Piazza e fu ancora una volta la generosità dei Piazzesi che ne consentì la ricostruzione. Tuttavia, con la progressiva decadenza e la distruzione dell’abitato, le vie e le trazzere divennero impraticabili, per cui l’abbazia rimase isolata e soggetta al rischio di attacchi di bande di briganti.  
Nel 1612 i monaci benedettini,  chiesero il trasferimento dell’abbazia a Enna, ma i Piazzesi che per due secoli avevano assistito e aiutato i monaci, si opposero, ottenendo la sospensione del trasferimento. Ovviamente si scatenò la protesta a Enna, ma a nulla valse perché i Padri Visitatori inviati per constatare lo stato delle cose, si pronunziarono per il trasferimento alla Chiesa di San Rocco a Piazza dove venne portata la statua della Vergine custodita nel casale.
A Piazza i Benedettini operarono fino al 1866, allorché il monastero venne chiuso perché requisito dallo stato in seguito alle leggi eversive. L’abbazia in seguito fu utilizzata dal Comune per la sede municipale.

Philosophiana - nei pressi di Piazza Armerina

Philosophiana - nei pressi di Piazza Armerina

La contrada Sofiana si erge sul bordo meridionale del fiume Gela, lo stesso fiume che accarezza le fondamenta della Villa Romana Imperiale di Piazza armerina. È su un rilievo collinare, che si poggia la più vasta e indagata necropoli. Sorge sul punto più alto della contrada, dalla quale si domina tutta la vallata del Gela, con uno sguardo che si spinge fino ai contrafforti di Monte Navone e di Piazza Armerina.

Ambienti rupestri preistorici a Bellia

Ambienti rupestri preistorici a Bellia

Il Gruppo Archeologico di Piazza Armerina nel 2000 continuava la sua attività di ricerca e studio di insediamenti antichi. L’area interessata è compresa nel foglio I.G.M. 268 tra la tavoletta II SE di Valguarnera e la II SE di Piazza Armerina.

Lo studio è rimasto in fase preliminare: la scoperta si riferisce ad una caverna e una serie di anfratti nella vicinanza dei quali sono stati individuati alcuni frammenti microlitici selciferi, mentre il luogo sembra privo di ceramica preistorica. Qualche frammento fittile che venne rinvenuto appare, ad una prima valutazione, di più recente manifattura, forse tardo-medievale.

Interessante è stato il ritrovamento di tre cisterne circolari scavate nell’arenaria.

Sito Archeologico Cozzo Rametta

Sito Archeologico Cozzo Rametta

Dopo aver concluso nel 1998 uno studio di superficie sul sito di Monte Manganello e Cozzo Comune il Gruppo Archeologico “Ibla Erea” di Piazza Armerina ha incominciato ad occuparsi delle colline adiacenti per cercare di fornire un contributo basale originale alla conoscenza della distribuzione delle popolazioni indigene preistoriche nel centro della Sicilia che, in effetti, è stata poco o affatto studiata.

L’altura di Rametta sembrava adatta all’osservazione per una sorta di contiguità con il gruppo montuoso di Manganello rappresentando con esso uno spartiacque tra il bacino del fiume Salso e quello del fiume Gela.

Le prime osservazioni sono state effettuate nella primavera del 1999 nel pendio meridionale a ridosso di un gradone arenaceo che lo attraversa da est a ovest e che rappresenta una sorta di riparo. L’azione erosiva degli elementi sul suolo sabbioso, specialmente dove esso è privo di vegetazione, ha permesso di veder affiorare numerosi frammenti di selce, ossidiana e quarzarenite di varia qualità e colore e discrete quantità di ceramica sia acroma che dipinta. Il materiale osservato:

 

 

  • qualche centinaio di frammenti tra lame, punte, raschiatoi, scarti di lavorazione, un corno di terracotta di incerto uso;
  • tre frammenti di pisè d’argilla (a ridosso del riparo roccioso);
  • due pezzi di fuseruola fittile (una quasi intera, ma fortemente bruciacchiata, aveva accanto frammenti ossei bruciati e denti animali; 
  • due ciottoli di calcarenite usati come percussori;
  • alcuni frammenti di macinelli in materiale lavico e in calcarenite (uno, intero, conserva su un lato una impregnazione di ocra); tre manici di terracotta di cui due con tracce di colore rossastro;
  • vari cocci di ceramica con tracce di disegno a linee rette o a zig-zag nere su fondo rosso;
  • un frammento di ascetta votiva rossastra finemente lavorata (trovata lungo il ripido versante ovest);
  • un fondo di anfora presentante un foro di uscita praticato a crudo (a ridosso del riparo roccioso).

Il sito preistorico non pare sia esteso alla cima del monte dove invece è facile indovinare un piccolo borgo o quantomeno un grosso posto di vedetta di periodo medievale suggerito sia dal nome stesso che dalla disseminazione di significativi reperti.

L'insediamento preistorico di Monte Manganello

L'insediamento preistorico di Monte Manganello

Il Monte Manganello fa parte di una corona di alte colline ubicate nella zona nord-occidentale rispetto al centro urbano di Piazza Armerina, rivolte verso la grande vallata del torrente Olivo e delle Contrade di Ballatella, Montagna di Marzo, Vallegrande, Critti, Rabottano.
La zona è rimboschita maggiormente con Pino d’Aleppo ed Eucaliptus. Tutta la macchia mediterranea è rappresentata sia nelle radure che nel rigoglioso sottobosco. Durante una delle frequenti escursioni di ricognizione territoriale del Gruppo Archeologico “Ibla Erea” di Piazza Armerina, proprio nella sella che il Monte Manganello forma con il vicino Cozzo Comune sono state notate in più punti la presenza di notevole quantità di frammenti fittili antichi che hanno attirato l’attenzione del gruppo di ricognizione. 

Sono stati osservati e recuperati molti reperti tra cui:
- dieci frammenti di selce (scarti di lavorazione e raschiatoi) non ben rifiniti;
- alcuni manici di anfora di grosse dimensioni di ceramica acroma;
- un grosso e massiccio manico acromo e un altro con segni di pittura rossastra;
- manici di fine ceramica dipinta rossastra ;
- frammenti di olla dipinta rossa e spatolata e altri con motivi geometrici a losanga o a strisce nere su fondo rossastro (decorazioni fatte con la vernice durante la levigatura del vaso) ; alcuni frammenti di orli assottigliati;
- un ciottolo duro (marino) levigato, con segni di consumo e utilizzato come percussore;
- un frammento a cuneo granitico levigato su due facce;
- una piccola ascia di basalto intera, una piccolissima e sottile ascia di basalto finemente lavorata, due asce spezzate e due frammenti dello stesso tipo;
- una pietra da macina;
- la parte inferiore di “fruttiera” verniciata rossastra con iniziali segni di continuità per i manici;
- alcuni frammenti di pisè d’argilla bruciata nel cui contesto si repertano segni di materiale vegetale con cui veniva impastata (fuscelli di paglia, fili d’erba, foglie, semi, etc).

Si può attualmente parlare di villaggio, dato che la zona presenta solo qualche riparo roccioso o qualche anfratto, che non giustificano una così estesa antropizzazione, oltre al fatto che le popolazioni, dall’Età neolitica in poi, non sempre amavano abitare in grotte.

Sito Archeologico Balatella

Sito Archeologico Balatella

Si tratta di un piccolo altipiano orientato NO-SE di 684 m. di altezza al cui versante sud-orientale scorre il torrente Furma che scende a ingrossare le acque del torrente Olivo di Montagna di Marzo. Il terreno sul pianoro è sabbioso con qualche affioramento calcarenitico.

Nell’aprile del 1994 venne segnalata dal Gruppo Archeologico piazzese in contrada Balatella la presenza di un sito archeologico su un pianoro a poco più di 2 km. a NE in linea d'aria dalla Montagna di Marzo. Il sito è reperibile al foglio 268 Quadrante II, Orientamento NO, Friddani. Da una indagine superficiale è stato possibile notare che la zona ha subìto, in epoca relativamente recente, varie "visite" di scavatori di frodo. Sono state notate tracce di materiale fittile povero accanto ai vari scavi e qualche residuo di ossa umane.

Nella parte meridionale dell'altopiano si nota una depressione profonda poco più di 1 mt. e di diametro di circa 20 x 15 mt. dove è stato possibile individuare una sezione circolare di muro di circa 5 mt. di lunghezza riferibile a un’abside. Due tombe a cassa sono visibili di cui una ancora parzialmente coperta da lastre.

La zona è cosparsa di materiale fittile grossolano, di alcuni piccoli frammenti di lastra di marmo bianco e di pietre da costruzione. Tutt'intorno alla depressione si sono potuti contare una decina di grossi conci squadrati di tufo, più o meno affioranti di cui sarebbe interessante chiarirne la presenza e l’eventuale uso o riuso.

La scoperta più interessante è stata quella di un grosso frammento triangolare calcarenitico (cm. 37x45x54 circa) che presenta in una delle superfici una iscrizione incisa in alfabeto greco maiuscolo, mentre in un altro lato è malamente visibile un rilievo a forma di U capovolta di cm.25 di h. Il concio era spezzato e faceva parte di un altro grosso frammento che gli stava accanto. I due frammenti sono stati recuperati dalla Soprintendenza.

La restante parte dell’altopiano sembra adibita a necropoli tardo-romana, ma nessuna ricerca scientifica ad oggi è stata effettuata.

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