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Piazza Armerina

Siti Archeologici

Sito Archeologico di Rambaldo - Piano Cannata

A nord-ovest dell’abitato di Piazza Armerina, nei pressi dell’antico Convento di S. Maria di Gesù dei Francescani Riformati, è stato, da parecchi decenni, osservato un notevole affioramento di ceramica tardo romana e medievale riferibile ad un insediamento anonimo che qualche autore (L. Villari 1987) vorrebbe ricondurre al preesistente sito di Piazza prima che avvenisse la sua distruzione nel 1161 ad opera di Guglielmo I detto il Malo, a seguito della ribellione dei Lombardi dei Monti Erei capitanati da Ruggero Sclavo.

Se tale ipotesi venisse provata, verrebbe ridimensionata la tradizione locale secondo cui l’antica Piazza trovavasi sul Piano Marino a poco più di due chilometri in linea d’aria ad ovest dall’attuale centro urbano come riferiva Ugo Falcando che la disse Plutia Lombardorum Oppidum in plano situm (Chiarandà 1654). Del resto sul Piano Marino non vi è traccia alcuna di insediamento urbano, ma soltanto i resti ruinati di una torre medievale e di un piccolo cenobio basiliano la cui chiesetta (che conserva una riproduzione ottocentesca della icona della patrona S. Maria delle Vittorie) evidenzia il residuo di un’abside bizantina.

 

Il sito di Rambaldo-Piano Cannata come luogo della vecchia Piazza, potrebbe rispondere al requisito di oppidum in plano situm, per la presenza di grandissima quantità di tegole e di cocci disseminati lungo una vasta area che comprende tutto l’attuale cimitero di S. Maria di Gesù e le campagne terrazzate adiacenti sia alla sua sinistra che alla sua destra fino alla sommità del colle (Piano Cannata) presupponendo un notevole insediamento abitativo.

La fotografia aerea (n. 09636 SMA- Ministero Difesa Aeronautica. Conc. n. 158 del 17 luglio 1963, Missione 31 Aeroporto di Palermo) della zona (Villari L. 1987) sembra manifestare la presenza di tracce nel sottosuolo di un castrum a pianta quadrangolare.

Il sito non è stato ancora oggetto di indagine archeologica, ma solo di osservazioni sporadiche di superficie. Sono abbondantemente presenti vari tipi di ceramica vascolare acroma chiara o rossastra e pure invetriata spesso con decori.

Sito Archeologico Ramata

Sito Archeologico Ramata

Prendendo la strada provinciale n.4 che da Piazza Armerina porta a Valguarnera, si imbocca, al km.5,321, la provinciale per Enna attraversando la zona del borgo di Grottacalda.

Sotto l’ultimo viadotto che supera la vallata tra il massiccio collinare di Grottacalda e quello di Ramata, sono dei grandi campi declivi, in parte coltivati a cereali e in parte lasciati a pascolo, attraversati da un gradino morfologico di arenaria che prosegue a nord verso il tratto collinare del lago di Pergusa. Questo insieme roccioso è disseminato di grotte, anfratti e ripari che hanno potuto costituire l’habitat naturale di uomini preistorici a ridosso dell’altra grande comunità vissuta nelle immediate adiacenze del lago di Pergusa.

Nella zona di Ramata non è presente ceramica di alcun tipo (se si eccettua una piccola zona di circa 10 m. di diametro a ridosso della cosiddetta Grotta 3 dove, probabilmente per la presenza di una abitazione, si è osservata ceramica basso-medievale fino al XIX sec.).

 

I frammenti osservati in superficie e in prossimità di alcune grotte (la n.1 e 2 e poi della n.3) sono di tipo litico: strumenti su scheggia di selce e quarzite oltre a svariati frammenti residui di lavorazione dei ciottoli. E' stata rinvenuta una notevole quantità di raschiatoi, punte e lame a dorso, grattatoi lunghi, un grosso ciottolo di quarzite con segni di percussione e una pietra da macina.

Varia è la tipologia dei frammenti a cominciare dalla loro grandezza. Ad un primo esame l’industria litica di Ramata, sembra del tipo epigravettiano finale, deponendo dunque per l’attribuzione al Mesolitico.

Si è affacciato da alcuni anni il nome di Erbesso, la città ricordata da Diodoro e da Polibio. L'ipotesi si basa sul recente ritrovamento nel sito di un certo numero di monete di quella città. E' il caso di ricordare che la Sicilia antica ebbe due città di tal nome, una nel siracusano e l'altra nell'agrigentino. Per quest'ultima Tolomeo pone il sito a sud-ovest di Enna e quindi, considerando l'approssimazione delle conoscenze geografiche del tempo, in una località coincidente con Montagna di Marzo.

Al piccone dell'archeologo l'ardua sentenza.

Sito Archeologico di Rasalgone

Sito Archeologico di Rasalgone

Alcuni anni addietro (1994), in seguito ad uno smottamento provocato da intense e prolungate piogge, vennero messi in luce i resti di una villa romana nei pressi del corso d’acqua proveniente dalla contrada Leano lungo la strada per Mirabella Imbaccari. Venne allo scoperto uno scorcio di mosaico a ventaglio in tricromia e, a livello di pavimento, durante lo scavo, fu trovata una moneta bronzea di Costantino.

A ridosso del muro esterno fu messa in evidenza una intatta e importante canalizzazione plumbea dell’epoca di 7-8 cm. di diametro, che pescava acqua a monte del fiume per rifornire la villa.

Un intervento di somma urgenza permise uno scavo per lo studio preliminare e poi tutto fu coperto in attesa di successiva mappatura e scavo regolare (Villari G. 1998). Esiste altresì la segnalazione di una necropoli tardo-romana e bizantina (PTOR 1966).

Sito archeologico Rossomanno

Sito archeologico Rossomanno

Da Piazza Armerina si percorre la strada statale 117 bis in direzione di Enna sino al bivio Furma, superandolo in direzione di Valguarnera. A circa 100 metri dal suddetto bivio sulla destra si imbocca una trazzera dell’Azienda Forestale e, risalendo per circa 1 km, si sale verso la località di Rossomanno.
Sulle verdi colline che compongono il sistema orografico di Rossomanno, tra Valguarnera e Piazza Armerina, forme di vita antica sono documentate in un vario snodarsi di sequenze cronologiche e culturali, dal VII secolo a.C. ad età medioevale (XIV secolo), epoca in cui l'abitato fu raso al suolo.

 

Imponenti sono i ruderi esistenti, ricordati anche da Tommaso Fazello (1560) e i materiali archeologici che hanno motivato le recenti campagne di scavo, da cui sono scaturiti interessanti dati per un inquadramento preliminare della topografia dell'anonimo centro indigeno ellenizzato.
Giungendo a Rossomanno dal suddetto bivio di Furma, si incontra dapprima la necropoli di Rocca Crovacchio, che ha consentito la messa in luce di deposizioni funerarie risalenti al VII-IV secolo a.C. e assai interessanti per i riti (“campi di crani” o deposizioni ad enchitrìsmos o ad incinerazione).
Le tracce cospicue dell'abitato di età arcaica si trovano soprattutto sulla collina contigua, detta “Serra Casazze”, ma sparse sulle cinque colline sono tracce di abitazioni di età ellenistica e medioevale.
La collina che da ovest ad est segue a Serra Casazza, è interessata da un imponente sistema di fortificazione, parzialmente delineato nella complessa articolazione di avancorpi e postierle che orlano anche l'antistante Cozzo Primavera.
Nella acuminata sommità del Castellazzo, è una costruzione di età medioevale, probabilmente un torrione d'avvistamento, denominato “degli Uberti” dai signori del luogo.
Un convento di monaci benedettini, nella estrema propaggine meridionale di Rossomanno, è ormai pressoché diruto come la basilichetta medievale di Serra Casazze.

Sito Archeologico Montagna di Marzo

Sito Archeologico Montagna di Marzo

Montagna di Marzo offre, dall'acropoli in giù, l'immagine di una grande città pre-greca e romana. Il sito, sorto come città sulle vestigia di un antico villaggio indigeno, dovette interagire con tutte le culture successive fino al medioevo, accrescendo le sue pertinenze sia attraverso le fabbriche artigiane sia attraverso un gran numero di insediamenti e necropoli.
Il massiccio, alto 700 m., è ubicato a nord-ovest di Piazza Armerina, in una vallata prospiciente all'invaso Olivo. La montagna, circondata da un'alta corona di colline, offre una notevole visione panoramica su altri rilievi anch'essi di interesse archeologico: Rametta, Manganello, Polino, Balatella. La città si estende per venti ettari sull'altopiano, ma tutta l'area archeologica comprende oltre ottanta ettari.

La prima campagna di scavi regolari fu condotta nel 1962 da G. Vinicio Gentili che recuperò un gran numero di reperti tombali del VI e V sec. a.C., seguita dallo scavo di Vito Romano nel 1965.

Una importante campagna di scavi fu avviata dal grande Luigi Bernabò Brea nel 1966 e negli anni successivi. Fu Luigi Mussinano dell'Università di Trieste che, avvalendosi anche dell'ausilio di Vito Romano e Ignazio Nigrelli, riuscì a dimostrare e descrivere l'estensione e la tipologia urbanistica. L'archeologo triestino comprese, già allora, che la città seguiva un impianto ortogonale di tipo ippodameo e che lo stanziamento antico era rimasto antropizzato fino ad epoca bizantina.
Il frutto più prezioso degli scavi di Mussinano, è stato quello restituito dalla necropoli orientale. Sotto la cinta muraria egli trovò diverse file di tombe a camera databili dalla fine del VI sec. a.C. all'epoca ellenistica. Nella parte più meridionale della stessa necropoli Mussinano aprì 14 tombe a camera non violate contenenti materiali databili dal VI al III sec. a.C. In alcune di esse il corredo funebre superava anche il centinaio di pezzi. ? rimasta famosa la cosiddetta tomba n. 31 dove l'archeologo ritrovò due sarcofagi contenenti i resti mortali di due guerrieri. Uno dei due scheletri aveva l'anello al dito, la spada ai fianchi e lo strigile. Sopra i coperchi dei sarcofagi furono trovati i loro elmi e gli schinieri. La tomba restituì ben 133 pezzi, tra cui molti vasi figurati con iscrizioni graffite in alfabeto greco.
Il sito, dopo uno scavo del 1986 quando fu scoperta un'area sacra a sud ovest della città, cadde nell'oblio e si doveva attendere la fine del millennio perché si aprisse un barlume di speranza per il sito. Un importante scavo fu condotto nel 1998 da Lorenzo Guzzardi con la messa in luce di alcuni settori della città e di resti di edifici di età ellenistica, romano-repubblicana e tardo romana confermando l'ipotesi della notevole estensione dell'abitato tra i più grossi ed importanti dell'isola di quel periodo.
Lo scavo della necropoli orientale ha individuato un settore di latomie per l'estrazione di conci utilizzati negli edifici di età greca ed anche di portelli di chiusura delle tombe a camera. Un ulteriore e prezioso contributo alla conoscenza del sito è stato offerto nel 1999 dallo scavo di L. Guzzardi che ha portato alla scoperta di un odeon di età ellenistica databile tra il III e il I sec. a.C. nascosto da quella che sembrava una collinetta naturale a ridosso delle mura orientali. La cavea di grande ampiezza, la gradinata su cinque livelli discretamente conservata, la presenza di una cisterna alla sua sinistra e di un plinto alla sua destra, fanno immaginare che l'edificio potesse avere funzioni diverse, da quella ludica a quella pubblica. Nel 2004 è stato identificato il basamento di un grande tempio nell'acropoli e di alcune sepolture di epoca bizantina.
Secondo Dinu Adamesteanu (1962), la città andava identificata con Motyon nelle cui vicinanze si sarebbe svolta la sconfitta della famosa Lega sicula capitanata da Ducezio. Alla fine della prima guerra punica la Sicilia divenne provincia romana e all'inizio della seconda guerra punica, dopo la battaglia di Canne, può darsi che, alla stessa maniera di Morgantina (214 a.C.), possa aver subito la punizione romana per aver parteggiato a favore dei cartaginesi. Il declino della città può essere avvenuto proprio con l'assoggettamento alle esigenze di Roma che trasformò la sua vita economica tradizionale basata sull'agricoltura intensiva, l'allevamento e l'artigianato, in monocoltura estensiva cerealicola praticata mediante l'impiego di masse di schiavi.

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