

Nel 1484, il 12 agosto, muore papa PAOLO IV. Il 29 AGOSTO viene eletto INNOCENZO VIII, nato a Genova nel 1432.
Il primo documento che emette é una bolla che condanna la stregoneria; una bolla molto vaga, che permetterà con tante interpretazioni teologiche (senza possibilità di appello) di eliminare anche persone colpite da isteria o da una semplice crisi epilettica, soprattutto se a incolpare una persona é la "voce di popolo" abilmente messa in giro. E' una delle basi sulla quale si fonda e crescerà la Santa Iquisizione.
Nel 1485, durante le "lotte di cortile" per il dominio nel regno di Napoli, alcuni nobili ostili agli Aragona seminano discordie e si alleano a papa INNOCENZO VIII. Le prime scintille di una guerra civile vengono fatte scoppiare all'Aquila. Dopo l'arresto di Pietro Lalle Camponesco nella città risventola la bandiera del papa;ma la guerra civile è appena all'inizio ed infiammerà il resto del regno. Nel 1486 la rivolta dei Baroni ha un epilogo cruento, viene soffocata nel sangue da ALFONSO d'ARAGONA dopo la riconquista dell'Aquila, anche se, per l'occasione, gli stessi COLONNA si sono schierati con INNOCENZO VIII, senza però ottenere grandi risultati.
31 ottobre. Calenda o Samhain, e' il capodanno pagano. Fine dell'estate e inizio dell'inverno per i Celti, ovvero fine e inizio del nuovo anno... il passaggio forse piu' importante. Questa festa viene anche considerata la terza ed ultima festa del Raccolto. In questo avvenimento, la Dea si addormenta e lo scettro passa al Dio, ormai vecchio e in declino, nella stagione invernale. Anche la natura sembra morire, ma si ridestera' la stagione successiva, tornando alla vita insieme alla Dea.
Per alcune tradizioni, la Dea non si addormenta, ma discende nella terra, lontana dalla luce, assumento l'aspetto oscuro che caratterizzera' l'inverno. In altre tradizioni, questa celebrazione corrisponde alla "morte" del Dio, che rinascera' poi al Solstizio d'Inverno, dal grembo della Dea.
La Calenda o Samhain e' un momento di riflessione interiore, di abbandono del vecchio e di preparazione al rinnovamento. Ci fermiamo, riflettiamo su cio' che abbiamo compiuto durante l'anno, e cosi' facendo guardiamo a quello che verra'. Come la natura si spoglia, s'arresta e si addormenta, altrettanto faremo noi, utilizzando questo sonno rigeneratore per prepararci ad affrontare la nuova vita e il nuovo ciclo.
La notte di questa festa e' inoltre il momento dell'anno in cui le "divisioni" tra i piani di realta' si assottigliano, e il contatto tra questi e' piu' intenso.1 e 2 Novembre - Ognissanti e il giorno dei morti
Il giorno dei morti fu ufficialmente collocato alla data del 2 Novembre nel X sec. d.c. circa, praticamente fondendosi con il 1 Novembre, gia' festa di ognissanti dall'anno 853, per sovrapporsi alle piu' antiche celebrazioni di quei giorni. (vedi anche Samhain - Calenda - Halloween alla sezione Feste)
Tra il popolo comunque, le vecchie abitudini furono adattate alla nuova festa e al suo mutato significato, mantenendo la credenza che in quei giorni i defunti potevano tornare tra i viventi, vagando per la terra o recandosi dai parenti ancora in vita.
In tutta italia si possono ancora oggi ritrovare gesti e pratiche tradizionali per la celebrazione di queste feste.
Queste tradizioni sono le vestigia delle pratiche rituali delle antiche religioni, sopravvissute sotto forma di superstizione o trasformate ed adattate alla religione cristiana.
Nelle citta' con l'avvento del progresso queste tradizioni sono praticamente scomparse; ma nei paesi e soprattutto in meridione, sono ancora vive, anche se sovente ripetute quasi per abitudine, senza memoria del significato originale.
Riti popolari per i defunti - il cibo
In quasi tutte le regioni possiamo trovare pratiche e abitudini legate a questa ricorrenza. Una delle piu' diffuse era l'approntare un banchetto, o anche un solo un piatto con delle vivande, dedicato ai morti.
Qualche esempio caratteristico.
In alcune regioni, come il Piemonte, si soleva per cena lasciare un posto in piu' a tavola, riservato ai defunti che sarebbero tornati in visita.
In Val d'Ossola sembra esserci una particolarita' in tal senso: dopo la cena, tutte le famiglie si recavano insieme al cimitero, lasciando le case vuote in modo che i morti potessero andare li' a ristorarsi in pace. Il ritorno alle case era poi annunciato dal suono delle campane, perche' i defunti potessero ritirarsi senza fastidio.
In Sardegna, dopo la visita al cimitero e la messa, si tornava a casa a cenare, con la famiglia riunita. A fine pasto pero' non si sparecchiava, lasciando tutto intatto per gli eventuali defunti e spiriti che avrebbero potuto visitare la casa durante la notte. Prima della cena, i bambini andavano in giro per il paese a bussare alle porte, dicendo: e ricevendo in cambio dolcetti, frutta secca e in rari casi, denaro.
In Calabria, nelle comunita' italo-albanesi, ci si avviava praticamente in corteo verso i cimiteri: dopo benedizioni e preghiere per entrare in contatto con i defunti, si approntavano banchetti direttamente sulle tombe, invitando anche i visitatori a partecipare.
In Puglia, la sera precedente il due novembre, si usa ancora imbandire la tavola per la cena, con tutti gli accessori, pane acqua e vino, apposta per i morti, che si crede tornino a visitare i parenti, approfittanto del banchetto e fermandosi almeno sino a natale o alla befana.
Altre usanze tradizionali
Passando ad altre tradizioni, ma rimanendo in puglia, ad Orsara in particolare, la festa veniva (e viene ancora chiamata) Fuuc acost e coinvolge tutto il paese. Si decorano le zucche chiamate Cocce priatorje, si accendono falo' di rami di ginestre agli incroci e nelle piazze e si cucina sulle loro braci; anche qui comunque gli avanzi vengono riservati ai morti, lasciandoli disposti agli angoli delle strade. In Sicilia c'e' l'usanza di preparare doni e dolci per i bambini, ai quali viene detto che sono regali portati dai parenti trapassati. I genitori infatti raccontano ai figli che se durante l'anno sono stati buoni e hanno recitato le preghiere per le anime dei defunti, i "morti" porteranno loro dei doni. In Emilia Romagna nei tempi passati, i poveri andavano di casa in casa a chiedere "la carita' di murt", ricevendo cibo dalle persone da cui bussavano.
A Bormio in Lombardia invece, la notte del 2 novembre si era soliti mettere sul davanzale una zucca riempita di vino. In Veneto le zucche venivano svuotate, dipinte e trasformate in lanterne, chiamate lumere: la candela all'interno rappresentava cristianamente l'idea della resurrezione. Anche in Abruzzo si decoravano le zucche, e i ragazzi di paese andavano a bussare di casa in casa domandando offerte per le anime dei morti, solitamente frutta di stagione, frutta secca e dolci. Questa tradizione e' ancora viva in alcune localita' abruzzesi.
Dolci tradizionali per la festa dei morti
In alcune regioni ci sono dei dolci e delle cibarie fatte appositamente per la festa dei morti. Questi cibi, anche se appartenenti alla tradizione cristiana, hanno spesso un origine precedente. Dolci e pani antropomorfi per scopi rituali, ad esempio, esistevano già al tempo dei Romani. In Sicilia troviamo la mani, un pane ad anello modellato a forma di unico braccio che unisce due mani, e il pane dei morti, un pane di forma antropomorfa che originariamente si suppone fosse un'offerta alimentare alle anime dei parenti morti. In Lombardia abbiamo invece gli oss de mord, o oss de mort, fatti con pasta e mandorle toste, cotti al forno, di forma bislunga, con vago sapore di cannella. A Comacchio c'e' invece il punghen cmàciàis, il Topino Comacchiese, dolce a forma di topo preparato in casa.
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Come abbiamo visto, zucche, questua, dolci e regali non sono una recente importazione statunitense per la festa di Halloween (contrazione di "All Hallows Even" - vigilia di tutti i santi), ma caratteristiche tradizionali del passato popolare delle regioni. italiane.
(fonte: www.lucedistrega.net)
Per capire il modo in cui la Riforma influenzò la caccia alle streghe, dobbiamo ricordare che fu la Riforma stessa ad assumere la Bibbia come unica fonte di verità e a tradurre le Scritture in tutte le principali lingue europee. Così, una buona parte della popolazione abbe accesso alla lettura delle traduzioni di cui furono messe in rilievo quei passi riferiti alla Stregoneria. Infatti, nell'Esodo, il passo 22,17 veniva tradotto nel seguente modo: «Non lascerai vivere chi pratica la magia», ignorando completamente il fatto che l'espressione ebraica significasse, in realtà, «qualcuno che opera nell'oscurità e blatera». A nulla valsero i tentativi di coloro, tra i quali Erasmo e Weyer, che cercarono di dimostrare che la Bibbia avesse nulla o poco a che fare con la Stregoneria cinquecentesca. L'importante fu che la parola in questione venne tradotta con il termine STREGA e il testo , così, usato da giudici e inquisitori durante i processi.
Furono in tanti, quindi, ad utilizzare la Bibbia più che come strumento di preghiera e di fede, come strumento per corroborare le credenze popolari sulla stregoneria, e ci fu chi arrivò addirittura a scrivere che: «Negare la possibilità... dell'effettiva esistenza della Stregoneria è al tempo stesso in netta contrapposizione con la verità rivelata da Dio». Insomma, chi non credeva nelle Streghe, non credeva nemmeno in Dio.Streghe e demoni presenziano alla magica ed inquietante notte di San Giovanni, metamorfosi delle antiche divinità romane e di quelle dell'area celtica, a cui sembra rimandare l'albero del noce, sacro presso questo popolo, dedito anch'esso a riti solstiziali. La festa del santo cade infatti nel solstizio d'estate; solennizza la nascita di S. Giovanni Battista, annunciatore del Cristo, nato invece nella mezzanotte del 24 dicembre, nel solstizio invernale. Potrebbe anche collegarsi al passaggio dei morti, che gli antichi vedevano in questo periodo di transizione delle stagioni, momento critico dell'anno. Presso i Romani, come testimonia Plinio il Vecchio, era festa simile ai Saturnali: cadeva il divieto del gioco d'azzardo e la popolazione si scatenava nel canto e nel vino.
Nel Medioevo si mangia, si beve e si danza a Roma nello spazio tra le basiliche di S. Croce e di S. Giovanni, nella notte della vigilia si accendevano fuochi aspettando il passaggio delle streghe. Con il fuoco, che aveva un ufficio di purificazione, veniva esaltato anche il potere fecondativo della rugiada: giovani spose si sdraiavano sull'erba umida e uomini e donne si davano talvolta a pratiche, ritenute eccessive e peccaminose dalla chiesa, che le vietò con bolle ufficiali : "...proibiamo a qualsivoglia dell'uno e l'altro sesso di portarsi in detta notte fuori delle porte della città...sotto qualsivoglia pretesto che possa recar scandalo...Comanda a tutti gli Osti e Bettolieri che nella vigilia di detto Santo debbano tener serrate le loro Osterie e Bettole dalle tre ore della notte alle dieci del giorno seguente..." Ma questo divieto non impedì l'usanza della festa per tutto l'Ottocento, fino a che nel 1872, dopo due anni dalla presa di Roma, i governanti proibirono la festa notturna all'aperto, senza però chiudere le osterie, dove in realtà la festa aveva luogo tra lo scampanio dei campanacci scaccia-streghe, i canti, il vino, il gioco della morra, mangiando le tradizionali lumache, in realtà simbolo lunare che indica la rigenerazione periodica con i suoi cornetti e appare e scompare nel suo guscio, così come la luna nel cielo.
La festa venne arricchita nel secolo scorso di un concorso musicale di canzoni romanesche, inaugurato nel 1891.
Fino alla seconda metà del XII secolo l’eresia non era considerata un problema assillante della pastorale. Per le singole eresie presenti nell’ambiente intellettuale del convento e della scuola bastavano i meccanismi di repressione già esistenti. La concentrazione delle eresie popolari, soprattutto nella Francia meridionale, ed il loro irradiarsi in ampie parti dell’Europa portò, dalla seconda metà del XII secolo, sotto la guida del papa, ad unificare e a rendere più rigorosa la legislazione sugli eretici; venne così creata l’Inquisizione come nuova misura di difesa della Chiesa Cattolica.
Il vescovo, quale giudice della fede, nominava dunque degli inquisitori,che dovevano mettersi sulla traccia delle eresie e portare i seguaci di queste davanti al tribunale vescovile. Sembra tuttavia che non si sia giunti a una caccia sistematica degli eretici da parte degli inquisitori vescovili. Inoltre, soprattutto i vescovi della Francia meridionale facevano fronte ai loro compiti con negligenza. In un primo momento l’inasprimento della legislazione, unito alla nuova procedura, conseguì scarso successo. Proprio per questo motivo Innocenzo III ricorse al mezzo della crociata contro gli eretici.
Il Malleus maleficarum, pubblicato nel 1486, fu il più popolare fra i manuali per cacciatori di streghe durante il XVI e XVII secolo. La sua stesura si deve a due frati tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, persecutori d’eretici. Il Malleus forniva un avallo teologico alle superstizioni più grottesche e portò alla tortura e alla morte di migliaia di innocenti, soprattutto donne. Alle streghe si attribuiva un forte influsso sulla sessualità, e spesso le si riteneva responsabili di causare infatuazioni inopportune, impotenza e sterilità.
Per cementare il loro patto con il diavolo, esse dovevano sovente avere rapporti sessuali con lui, mangiare bambini e fabbricare unguenti con i loro resti. Una volta stipulato il patto, i gesti magici della strega, erano un segnale per il demonio, che faceva accadere l’evento sottinteso. Il demonio era a disposizione della strega in ogni occasione. Le streghe accusate di malefici venivano di solito torturate finché confessavano, ma il Malleus raccomandava anche che le confessioni fossero estorte con promesse di clemenza che, però, venivano poi invariabilmente disattese.Alcuni viceré non usano minore rigore. Il conte di Albadalista, il 15 dicembre 1590, tornava da Messina per mare, e il senato civico per l’occasione gli aveva preparato adeguate accoglienze, facendo costruire alla Cala un imbarcadero lungo trenta metri, destinato all’attracco della galera; su di esso i nobili e le autorità del regno e della città si affollarono per dare il benvenuto al governante. Ma quel pontone di legno e cordame, zelantemente allestito assai prima, era rimasto troppo tempo a mollo e ormai s’era infradicito, la calca dei convenuti era enorme, e per di più il viceré aveva gran fama di jettatore, provata nel corso del suo disgraziato governo, né si smentì in quell’occasione. Fatto sta che, proprio nel momento in cui, fra salve d’artiglieria e rulli di tamburi, stava per scendere dalla galera, questa, malamente imbrigliata a una trave del pontile, dando di bordo lo strattonò violentemente: l’imbarcadero oscillò, si disfece tra i flutti, portandosi dietro il suo carico umano. Un gran numero di nobili, venuti per accoglierlo, perisce nel disastro.
Nel corso della mortale peste del 1575, il presidente del Regno, principe di Castelvetrano, nel punire i ladri di robe infette, supera ogni fantasia sadica.. Catturatili, "furono esemplarmente castigati, altri essendo stati trascinati alla coda de’ cavalli, e strozzati, altri tanagliati, e buttati dall’altezza del Palagio vecchio, detto dell’Osteri, ed altri impalati, e poi uccisi".
E così via, impiccando e squartando fino alla fine del Settecento, con gran sollazzo. Nel 1775, Francesco Maugeri, Giuseppe Pozzo e Ignazio Sorrentino, rei di tentata ribellione, ebbero "tagliate le teste e le mani, e appese in gabbie di ferro sopra l’accennata porta [della Vicaria] i quarti de’ loro corpi furono collocati allo Sperone".
L’ultima grande esecuzione pubblica palermitana è la decapitazione, eseguita il 10 aprile 1863, di Gaetano Castelli, Pasquale Musetto e Giuseppe Calì, tre dei pugnalatori del 1862. Per l’imperizia del boia nell’adoperare la ghigliottina, l’esecuzione fu di estrema crudeltà e molti spettatori svennero. La descrizione di quel raccapricciante spettacolo è fedelmente riferita nel feuilleton di Salvatore Mannino, "I pugnalatori di Palermo del 1862". Chi pensa che la civiltà giuridica abbia diritto di comminare pene capitali, farebbe bene a leggerla.
Fu così chiamata l’istituzione fondata per ricercare (in lat. inquirere) ed esaminare coloro che si allontanavano dalla verità di fede e operavano in conseguenza, sul piano teorico o pratico. Nella realtà storica l’Inquisizione fu sempre legata a un tribunale nel quale venivano giudicati coloro che erano stati trovati colpevoli di eresia o di idee e azioni contrarie alla fede. L’esigenza di difendere la purezza e l’integrità della fede, manifestatasi dopo che il cristianesimo era diventato l’unica religione di Stato, pose il problema del modo di comportarsi nei riguardi di coloro che o non avessero accettato il cristianesimo (pagani sia dell’antica religione greco-romana, sia delle popolazioni germaniche) o si fossero allontanati dall’ortodossia (eretici).
Si ebbero allora le divergenti opinioni e di chi affermava il diritto per ciascuno di credere liberamente e di chi, invece, sosteneva l’opportunità di sospingere alla fede anche con la forza: S. Agostino – ed è un esempio interessante del mutamento di punto di vista in una stessa persona per effetto delle circostanze storiche – passò da una posizione assai tollerante al tempo della sua polemica contro i manichei (che concepivano la realtà come una continua lotta fra due principi opposti, come il bene e il male, lo spirito e la materia, ecc.) a una assai intransigente, verso la fine della sua vita, quando, in lotta contro i donatisti (che sostenevano la non validità dei sacramenti amministrati da sacerdoti indegni e proclamavano la propria ostilità nei confronti dell’Impero Romano), enunciò il famoso principio: "Compelle entrare" (costringere a entrare, cioè nella Chiesa), che tanta influenza doveva esercitare nei secoli futuri. A lungo, tuttavia, durante il Medioevo barbarico e i secoli dell’Alto Medioevo, l’atteggiamento della Chiesa, riguardo agli eretici e ai non cattolici, fu di tolleranza, anche quando, con l’inizio del sec. XI si cominciarono a manifestare dei fenomeni ereticali di vistosa importanza. Vi furono allora processi a eretici per conoscerne le idee e condannarle sì da impedire la loro diffusione, ma raramente condussero a sentenze capitali; comunque, non vi furono sistematiche ricerche per colpirli. Coloro che finirono sul rogo furono più vittime del furore popolare, che non del giudizio ecclesiastico.Non si trattò però ancora di Inquisizione, perché di questa mancò l’aspetto più caratteristico, la ricerca dell’eretico, e si ebbero, di solito, interrogatori e giudizi di individui o gruppi, casualmente emersi all’attenzione degli ecclesiastici o di fedeli. Né possiamo ancora considerare Inquisizione la ricerca episodica di eretici che si ebbe lungo il sec. XII, in relazione al manifestarsi sempre più preoccupante dei vari gruppi eterodossi in Italia o in Francia, come quando S. Bernardo intervenne nel Tolosano contro il monaco Enrico e contro i Catari (setta ereticale che si fondava sul dualismo manicheo tra bene e male e predicava un profondo rinnovamento morale) o quando l’arcivescovo Galdino di Milano predicò, ancora, contro i Catari nella sua città. Però, è vero che proprio in questo secolo si venne lentamente formando l’opinione che bisognasse agire contro gli eretici e che questa azione costituisse uno dei più difficili e responsabili doveri del vescovo: questi dovrà ricercare e punire coloro che turbano e minano l’unità della fede: ma i vescovi operarono in questa direzione episodicamente e con debole impegno, sia per le difficoltà oggettive della ricerca stessa (gli eretici di qualsiasi tipo e credenza tendevano a mimetizzarsi) sia per lo scarso appoggio che riceveva dal clero, spesso insufficiente o fiacco.
L’Inquisizione, e il tribunale che la accompagnò, sorse da questa situazione, dalla preoccupante diffusione delle manifestazioni di eterodossia e soprattutto dalla necessità di identificare e precisare gli eretici perché potessero essere poi colpiti dall’autorità civile; la Chiesa, infatti, era riuscita a ottenerne ripetutamente l’appoggio nel 1183 con Federico Barbarossa, nel 1220 con Federico II, che aveva sanzionato solennemente il bando per l’eretico e infine nel 1224, ancora con Federico II, che decretò la pena di morte per l’eretico ostinato e pertinace, ribadendo in seguito più volte la sua decisione. L’Inquisizione venne resa possibile, inoltre, dalla circostanza decisiva della formazione dei nuovi Ordini mendicanti, specialmente dei predicatori, che operarono in tutta la Chiesa alle dirette dipendenze del pontefice.Tra il 1231 e il 1233 Gregorio IX comunicava ai vescovi, in diversa formulazione ma con chiara unità d’intenti, l’incarico affidato ai Domenicani di svolgere la ricerca degli eretici d’accordo con i vescovi, ma anche in una precisa autonomia; proprio in questi stessi anni compare il termine inquisitor, che emerge la prima volta, come sembra, nel 1231, nello statuto contro gli eretici del senatore di Roma, Annibaldo degli Annibaldi. Ai Domenicani, e specialmente là dove questi dovettero essere sostituiti perché la loro azione troppo dura ed energica aveva suscitato opposizioni, come nell’Italia centrale e settentrionale, subentrarono talvolta i Francescani. Partendo dalla generica esigenza della ricerca degli eretici e della loro esclusione dalla società cristiana, l’Inquisizione venne poi gradatamente precisando i suoi compiti in relazione ai problemi che via via le circostanze imponevano.
Così l’interrogatorio venne aggravato dall’uso della tortura; l’inquisitore, prima solo, venne affiancato da un compagno; le decisioni dei due inquisitori vennero sottoposte al controllo del vescovo o d’un suo delegato, mentre l’andamento del processo inquisitoriale veniva, in ogni suo momento e caso per caso, esaminato da un consiglio di chierici, monaci, frati e giuristi, anche laici, per escludere errori di procedura e arbitri degli inquisitori. Inoltre una serie di norme venne fissata a tutela della verità delle accuse o delle discolpe, per evitare denunce calunniose di eresia, anche se all’inquisito non venne mai riconosciuto nel Medioevo il diritto di essere assistito da un avvocato durante le varie fasi del processo.
Qualora l’accusa fosse stata provata e confermata dalla confessione dell’accusato stesso, questi, se pentito, veniva condannato secondo il grado di colpevolezza o a pene mortificanti, come pellegrinaggi, penitenze pubbliche o croci colorate sugli abiti, se ostinato o ricaduto nell’eresia (ralapso) al rogo. Questa pena, però, non veniva eseguita dall’inquisitore, ma dal potere laico, o braccio secolare; nel linguaggio corrente quindi l’espressione "consegna al braccio secolare fu equivalente alla condanna al rogo". Le norme via via accumulatesi nel tempo, le esperienze acquisite con l’esercizio della Inquisizione, i testi relativi alla conoscenza delle varie eresie vennero raccolte da vari inquisitori per uso proprio e altrui in manuali, fra cui celebre quello del domenicano Bernardo Gui, attivo all’inizio del Trecento nella Francia meridionale.
Con la fine delle grandi eresie popolari, al tempo del papa Giovanni XXII (1316-34), l’Inquisizione ebbe l’ulteriore incarico di perseguire anche maghi e streghe, dopo che questi, per il preteso loro culto diabolico, vennero assimilati agli eretici.
Mentre quasi alla sola caccia stregonica venne restringendosi per circa due secoli il compito dell’Inquisizione, in quasi tutta l’Europa, e particolarmente in Spagna l’Inquisizione venne sempre più legandosi al potere politico che se ne servì per secoli, ma specialmente nel XV, per la lotta contro moriscos e marranos, cioè contro Arabi ed ebrei, che, convertitisi apparentemente al cristianesimo, continuavano in realtà a praticare i riti della fede avita. Né fu meno rigorosa e severa nelle colonie d’America, sì che all’Inquisizione spagnola e alle sue cerimonie fastose e insieme terribili l’Inquisizione deve molto della sua fama di terribilità inesorabile. Nuovo impulso venne all’Inquisizione, durante il sec. XVI, dalla necessità della lotta contro i fautori della Riforma nei Paesi rimasti cattolici: fu allora unitariamente organizzata e posta alle dipendenze d’una speciale congregazione romana che proprio dall’Inquisizione (detta nel linguaggio curiale sanctum officium, e cioè santo dovere) prese il nome di Congregazione del Sant’Uffizio. Vennero allora irrigidite le norme più severe che la regolavano, come la segretezza dell’indagine, l’assenza d’un difensore, l’uso normale della tortura, mentre il desiderio sincero di ottenere la conversione, piuttosto che la morte dell’eretico indusse i giudici a forti coazioni morali, come nei casi ben noti di Giordano Bruno e Galileo Galilei.
Mentre la Congregazione del Sant’Uffizio in Roma rimase attenta a sorvegliare l’integrità della fede e si incaricò pertanto anche dell’INDICE DEI LIBRI PROIBITI come di ogni deviazione dottrinale, l’Inquisizione, in quanto istituzione diocesana venne sempre più perdendo di importanza effettiva, riducendosi a un controllo locale della ortodossia dei fedeli.
Oggetto di attacchi sempre più pesanti man mano che venne affermandosi l’idea della tolleranza, bersaglio prediletto di illuministi e di quanti rivendicavano la libertà di coscienza in epoca liberale, l’Inquisizione è un’istituzione legata a una precisa realtà storico-religiosa: in questa l’esigenza dell’unità della fede, trasformandosi in intolleranza per un malinteso desiderio di difendere il prossimo dal pericolo dell’eresia, ha bloccato il senso della carità fraterna verso chi sbaglia, anche nella fede. In questo senso solo il Concilio Vaticano II con la distinzione tra errante, che è sempre oggetto di carità, ed errore, che va combattuto con la forza della dialettica e della fede, ha tagliato alla radice le basi ideologiche d’ogni Inquisizione; non a caso la Congregazione del Sant’Uffizio ha assunto il nome di Congregazione per la dottrina della fede.
Il processo "accusatorio" s’intraprende dal giudice colla precedenza dell’accusa per mezzo del libello accusatorio intentata, in cui devesi porre una succinta e precisa storia del fatto, il nome dell’accusatore, dell’accusato, del giudice, del delitto, della persona contro di cui e con cui fu commesso, nonché il tempo in cui è seguito, e niente più; poscia ricercasi in questo processo la sicurtà dell’accusatore, la risposta del reo, le prove e le riprove, e la sentenza".
Al contrario, nel "processo inquisitorio", che "il giudice intraprende ex officio, senza precedenza di formale accusa, per una nuda e semplice segreta notizia o denunzia, o anche per la sola fama, inquisire egli e intorno il delitto occulto e le di lui circostanze, ed intorno l’autore. Va egli ammassando prove di ogni genere, cita testimoni, li esamina e forma gli articoli inquisizionali ai quali il reo deve rispondere, e in difetto di piena prova contro il reo che nega il delitto, procede con mezzi straordinari per estorquere dalla bocca del medesimo quella parte di prova che lui manca per condannarlo, e finalmente si procede alla sentenza".
Anche le denuncie anonime, o "accuse segrete" a firme fantasiose (S.S. Trinità, o anime del Purgatorio, ecc.) innescano un procedimento penale, costituendo, di fatto, e "abusivamente" un "capo accusatorio", dopo quello pubblico e privato. "Non v’è paese nelle provincie [del Regno] dove non vi siano calunniatori di professione… ogni diceria, ogni sospetto, l’invidia istessa somministra materia ai loro iniqui romanzi".I "mezzi straordinari" adottati dai giudici per far ammettere ai presunti rei la piena colpevolezza dei gravi reati a loro imputati, erano le inumane torture a cui venivano sottoposti incessantemente, fino a quando non avessero confessato (spesso il "falso").
Per Cesare Beccaria ("Dei delitti e delle pene" – edita nel 1764) non può erogarsi la tortura poiché "un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice (…). Qual è dunque quel diritto, se non quello della forza che dia potestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino mentre si dubita se sia reo o innocente?".
"Addì 20 dicembre 1788, Regia Vicaria di questa Città nel luogo della tortura. Giovanna Bonanno (meglio conosciuta come "La Vecchia dell’Aceto") che secondo gli atti della Regia Curia Capitaniale il giorno 9 ottobre 1788 "in subitione" rese la sua confessione, condotta al luogo della tortura allo scopo di ratificare la confessione prossima e collaterale da lei resa "in subitione", legata dapprima con cordicelle, poi con la grossa fune, e con la tavoletta collocata ai piedi, sospesa alquanto da terra come si dice "a tocca e non tocca" e letta da me D. Gioacchino Firenda cancelliere di detta Regia Curia Capitaniale la deposizione prossima e collaterale in presenza dello Spettabile Sambuco Giudice di detta R.C. Capitaniale con l’intervento e l’assistenza del Magnifico Procuratore Fiscale della medesima Curia dalla prima all’ultima riga, parola per parola, così come è depositata, che con un duplice giuramento a voce e toccate le Scritture nelle mie mani, ratificò e ratifica, e confermò e conferma in modo assolutamente pieno secondo la serie, la successione e il contenuto e il tenore e così sulla base del predetto mandato fu fatta scendere a terra e sciolta dai lacci fu mandata in carcere".